Tutto comincia da qui…

di Susanna Labirinto

Da: info@siamoancorafigli.eu
A: stampa@siamoancorafigli.eu
Data: 19 ottobre
Oggetto: Non mi piace

Lo so, ora mi odierai, non sono mai contenta, ma a me questo nome dell’associazione non mi piace. È vero che ormai Maurizio ci sta facendo il sito e abbiamo questi indirizzi mail e tutto quanto, ma «Siamo ancora figli» da una parte mi sembra una condanna, dall’altra mi sembra troppo poco drammatico. Io te la butto là, poi mi dici cosa pensi. Ti allego il file con anche un reperto archeologico.

Susanna


Màchaira e altre cose

Sto pensando a questa cosa da un paio di giorni: Associazione Màchaira (che in greco vuol dire coltello, pugnale, spada). Il termine è quello usato da Mt 10,34: «Non crediate che io sia venuto a portare pace sulla terra; non sono venuto a portare pace, ma una spada». Proprio nel momento in cui dice che è venuto a separare il figlio dal padre, bisogna rinnegare tutti, bla bla bla. E poi torna in Ap 6,4: «Allora uscì un altro cavallo, rosso fuoco. A colui che lo cavalcava fu dato potere di togliere la pace dalla terra perché si sgozzassero a vicenda e gli fu consegnata una grande spada». Una sola aspirazione di differenza dal màkairos/a/on che vuol dire «felice», quello delle beatitudini… Ma un gran bella differenza, non trovi? Con la Kappa sei beato, con la Chi hai una spada che sbrega tutto. Insomma, Màchaira è un pugnale, che spazza via ogni forma di pace. Non è una metafora interessante?

Lo so cosa mi dirai, che nessuno lo capirà. Pugnale è meglio di spada? Boh, io te l’ho detto, ma tanto sai che non mi assumo la benché minima responsabilità, quindi decidi tu.

Certo una cosa deve essere chiara: qui stiamo cominciando una cosa che ci farà soffrire, non una cosa che ci porta la pace interiore…

Stanotte ho fatto un sogno, mi ha svegliato con una sensazione di pericolo, di angoscia. Ero in macchina, ma ferma. Tipo parcheggiata lungo la strada. Sul marciapiedi c’è un bambino, bello con i capelli lunghi e canta, ha una voce bellissima. Tiene in braccio un fagottino che sembra essere un neonato (un fratellino o una sorellina, forse). Si avvicina sempre di più e mi chiede aiuto, con quella voce melodiosa e con un candore disarmante, vuole qualcosa ma non so cosa, canta una canzone che io riconosco, un rock tipo Led Zeppelin, ma dolce, solo che adesso non me la ricordo. Man mano che si avvicina, io capisco che quel bambino bellissimo, efebico, accudente, prodigioso nel canto, per me è un pericolo. Cerco di scappare, ma non riesco a mettere in moto la macchina, forse non ho le chiavi, sono paralizzata. Lui è sempre più bello e io ho sempre più paura. E mi sveglio.

Sai cosa penso? Che sia proprio cominciare questa cosa dell’associazione culturale, a spaventarmi. Parlare di come appartenere alle nostre famiglie ci abbia fatto male mi sembrava un’idea sensata, tutti quelli a cui ne parlo sono completamente d’accordo. Ma noi ce la facciamo? Quel bambino sono io, la sorellina sono io, voglio cantare al mondo ma ho una paura fottuta di soffrire.

Mi torna l’idea della spada-pugnale. Questa associazione per permettere di fare coming out a chi dovrebbe sentirsi fortunato e invece ha il cuore in fiamme mi sembra un pugnale, al cuore di tutto ciò che ci potrebbe far stare tranquilli. O a ciò che ci ha resi sofferenti? Non so se voglio di più sferrare colpi o tornare a dormire, senza aprire cicatrici che pensavo non sanguinassero più.

Altra cosa: ieri stavo cercando un documento legale e ho trovato un CD in cui avevo conservato la memoria di un vecchio computer. Mio figlio aveva appena cominciato le superiori e aveva la passione per tutte queste cose nuove, il computer era diventato suo e aveva sentito la necessità di cancellare tutto, mettendomi in questo coso – credo non esistessero ancora le pennette – con scritto sulla copertina «memoria mamma computer vecchio». Non c’è la data, ma da alcuni indizi direi che stiamo parlando di dieci anni fa.

Ho trovato una serie di cose interessanti, di cui non ricordavo l’esistenza, tra cui il file di una lettera che ti volevo spedire. L’avevo appena cominciata, ma non l’ho mai finita. Ti incollo quel poco:

Ciao, mago! Qui strega, dall’Adriatico del sud. Ti ricordi quando ti ho chiamato «mago», per un po’? Indovinavi sempre quello che succedeva in anticipo. Mi è venuto questo ricordo come un fulmine. Sono 15 anni che non abito più nell’efficiente Nord e la cosa che mi manca di più è quando non facevamo un cazzo. Caro mago, indovini per me che cosa mi accadrà? Una donna separata, lontana da casa, finisce col perdersi?

Insomma, non mi sono poi persa, però sono ormai 15 più 10: 25 anni che ho messo tanti chilometri di distanza tra me e i miei. Non riesco a non pensare alle distanze e al loro significato. Perché sono andata via? No, certo, non dico le ragioni che conosciamo tutti, dico perché non abito dove sono cresciuta. È come se fosse insopportabile.

Tu e la tua famiglia avete qualche filmino di quando eravate piccoli? C’è stato un momento, forse una decina d’anni fa, in cui ci siamo fiondati tutti a riversare sulle cassette e poi sui CD i vecchi filmini in Super8. Te li ricordi? Cazzo, ma perché facciamo finta che sia bello pensare all’infanzia?

Più ci penso e più credo che facciamo bene a metter su un’associazione in cui si possa dire il male che ha fatto quest’idea di famiglia.

Oggi un amico mi ha raccontato di tutte le volte che gli hanno chiesto «Ci sono novità?», che sarebbe «Aspettate un figlio?»… I cazzi tuoi no? Vedi? È autorizzata l’ingerenza su cose tue private da parte di chiunque: un figlio è un fatto della comunità, è una benedizione. Che logica tribale… E se uno è sterile, te lo deve raccontare a te? E se non ne voglio? E se ti chiedo quanto hai preso nell’ultima busta paga?

Basta così, ti avevo scritto solo per il nome dell’associazione, poi solo per ricordare il tuo soprannome e finisco sempre là… Per fortuna che ho preso le distanze!

«La giusta distanza»!!! Te lo ricordi, il film girato in Polesine? Allora sì, che non finisco più…

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