di Susanna Labirinto
Sommario
1. Bravopadre, cosa hai fatto a tuo figlio?
2. Bravamadre, cosa hai fatto a tuo figlio?
3. Bravopadre, cosa hai fatto a tua figlia?
4. Bravamadre, cosa hai fatto a tua figlia?
Sentenza
1. Bravopadre, cosa hai fatto a tuo figlio?
La prima domanda la faccio a voi, signore e signori della giuria: perché siamo qui, oggi? Cosa vi sta davvero chiedendo, questo figlio, mentre vi chiede di giudicare suo padre, che definisce «una brava persona»? La verità, cari signori giurati, è che voi non servite quasi a niente. Siete qui solo perché ci dovete essere. A quanti di voi sono padri e madri tutto questo servirà quando ve ne andrete da questo tribunale. A tutti voi che siete figli – e non potete smettere di esserlo nemmeno con la morte dei vostri genitori – questo processo servirà a soffrire e a gioire di singole cose vere.
Non siete giuria, siete testimoni. Dovete testimoniare il fatto che si può dire a un bravopadre che ha sbagliato. Il vostro ruolo, signori giurati, è decretare la fine del divieto. Condanna a morte, vi chiedo: non per questo bravopadre, ma per l’ipocrisia del bene da volere. «Devi voler bene a tuo padre» è una sentenza che merita una sentenza spietata. Come si può imporre di amare? Quale società, quali convenzioni, quali prigioni sociali possono chiedere di regalare l’affetto incondizionato per la sola condizione di essere stati cresciuti?
Dovete testimoniare al mondo che oggi un figlio non-bravo-abbastanza ha detto al suo bravopadre che gli vuole bene ma anche che ha accumulato una fila di errori che si sono conficcati nella sua vita. E qualcuno lo fa sanguinare ancora. Qualche errore commesso da questo padre ha reso forte questo figlio, ma è davvero qualcosa di cui andare fieri? Valeva davvero la pena?
Ora mi rivolgo a Bravopadre, parlo con lui perché tutti sentano. L’arringa è per la giuria, ma a noi oggi interessa che tu ti dichiari colpevole da solo. Noi sappiamo che tu sei e sei sempre stato in buonissima fede.
Non è abbastanza.
Non basta dire a se stessi di sapere cosa è bene per i figli affinché quello sia davvero il loro bene. Quanto hai fatto per verificare che lo fosse? Quante volte hai chiesto – non dico a tuo figlio!, ma almeno a tua moglie, a un amico, a un libro – aiuto per capire se non stessi sbagliando qualcosa?
Tu ci dirai che era evidente che così andava fatto, che tutti hanno fatto così. Anzi, dirai a te stesso e a noi che tu hai fatto meglio di tanti altri padri, rammolliti, che non hanno avuto il coraggio di essere bravipadri.
Tu ci dirai che tutto è stato per il bene di tuo figlio. Ma io ti chiedo: quale bene? Da cosa capisci, oggi, che hai fatto bene, così come hai fatto?
2. Bravamadre, cosa hai fatto a tuo figlio?
Cosa deve fare, una madre, per essere «brava»?
Sembra l’icona della relazione perfetta: una Madonna con bambino rinascimentale che si fa sangue e carne per impastare nuovi esseri umani.
L’amore di una madre per suo figlio è l’essenza stessa del dogma. Basta che sia quello, ciò che la Maria dei quadri e delle storie ha fatto con Gesù, dare la vita e poi sparire. Il figlio, lui sì che conta. E l’amore incondizionato della madre, che si sottomette alla volontà del padre.
No, bella mia, non funziona così… se vuoi essere una bravamadre non ti puoi limitare a mettere al mondo, accompagnare per strade già segnate, convincerti che la tua volontà non conta: devi prendere una posizione. Dire la tua, capire la sua. E se tuo figlio volesse cose che tu non capisci? O che non erano previste dal progetto tuo o di suo padre? Guarda che non è una remota possibilità: è la condizione esistenziale prevalente. La maggior parte dei figli vuole altro. E, se per caso invece un figlio si spalma su quello che voi genitori volete per lui, gli state creando un conflitto pazzesco o lo state votando alla nevrosi ossessiva. Lui deve uscire dai vostri binari. Lui deve affermare sé stesso e non diventare suo padre.
Se davvero vuoi essere brava, rompi.
Rompi gli schemi, rompi le palle, rompiti la testa.
Tu hai in braccio il futuro di tuo figlio e puoi tenerlo stretto a te fino a soffocarlo, oppure convincerlo che potrà essere se stesso. Non necessariamente felice, ma almeno non il burattino che recita il copione scritto per lui: quello è brutta roba, comunque vada.
E a voi, giurati, nel processo di questo figlio contro sua madre, io chiedo di essere spietati: se avete pietà di lei, povera donna, vedete quello che altri vi hanno sempre fatto vedere. Se invece otterremo una condanna, per le azioni e per le inazioni di questa bravamadre, allora potremo dire alle madri del futuro che il loro martirio è finito. Che possono – devono – svegliarsi dal sonno lungo secoli della banalità.
Sbaglieranno di altri sbagli, le nuove madri, ma daranno respiro lungo, a sé stesse e al mondo.
3. Bravopadre, cosa hai fatto a tua figlia?
Mi vengono i brividi, se penso a cosa pensano i giurati – per prima cosa – appena pronuncio queste parole: cosa hai fatto a tua figlia? La sessualità, solo e sempre la sessualità. Perché sia così gettonata, in realtà, non è difficile da indovinare. Perché i padri, con le figlie, hanno fatto tanta confusione. Se una mamma fa un bagnetto a una bambina o a un bambino e gioca col culetto dell’una o col pisellino dell’altro, noi proviamo tanta tenerezza. Ma se un papà gioca con la patatina di sua figlia smettiamo di sorridere. Forse quel papà non ci mette alcuna malizia, o forse ne viene turbato, al di là della sua stessa consapevolezza.
Di questo ti accuso, Bravopadre, io, in nome di tua figlia: di non aver mai ascoltato il tuo corpo. Cosa trasmettevi, quando era seduta sulle tue ginocchia? Affetto, gioia, piacere? La verità è che non lo sai. E di questo io ti reputo colpevole.
I cattivi padri, quelli che hanno toccato le figlie per il proprio piacere, quelli li odiamo tutti con chiarezza. I bravipadri, invece, vorremmo perdonarli, perché non si sono resi conto che quelle bambine si sono prese la loro ambiguità.
Eppure oggi noi siamo qui per chiedere la condanna di un bravopadre anche senza tirare in ballo la sessualità. Ci basta l’ambivalenza, come reato grave.
Bravopadre, quanto ha pagato, tua figlia, la tua ambivalenza? A che prezzo si arriva ad amarsi, se ci si deve perdonare di amare e odiare un padre che ci ama e contemporaneamente ci condanna, che ci dice «Brava», ma mai abbastanza? L’ambivalenza, nell’approvazione, è molto peggio di un calcio nel sedere.
Tu dirai che non è colpa tua, se avresti voluto sempre di più di tua figlia, che lo hai fatto per stimolarla… che ogni volta che lei ha portato a casa un voto, un ragazzo, un’amica, un vestito il tuo giudizio è stato positivo, ma avresti voluto di più, per lei, tutto e solo per la sua felicità…
È questo che dirai, Bravopadre? Che nessun voto, nessun ragazzo, nessuna amica, nessun vestito ti è andato bene solo e sempre perché volevi il meglio per lei? E se quello fosse stato il suo meglio? E se il «meglio ancora di così» fosse una trappola infernale dalla quale non si può uscire vive? In fondo è sempre e solo ciò che tu desideri, che conta: che sia sessuale o meno, lei deve procurarti varie forme di piacere.
Sei la gabbia che impedisce di volare, con la scusa di proteggere: ecco perché propongo di distruggerti.
4. Bravamadre, cosa hai fatto a tua figlia?
Se tu fossi stata una pessima madre, forse tua figlia ti avrebbe mandata a cagare, ti avrebbe tolta di mezzo tra sé e la felicità, avrebbe potuto essere semplicemente diversa da te. Ma tu non sei stata pessima, sei stata una bravamadre. Difficile fare come se tu non ci fossi, difficile diventare come te. Il brutto, per tua figlia, è che non vuole essere te.
Tu hai cucinato, lavato, stirato, comprato, tirato su i figli nel modo migliore. Migliore per chi, scusa? Sarà mica oggettivo? E se tua figlia avesse in mente un modo diverso? E se poi fosse sbagliato e ne volesse provare un altro ancora?
Le figlie sembrano essere autorizzate a cambiare le cose solo a patto di essere assolutamente sicure di fare meglio. Non sono autorizzate a sbagliare. Tutto sbagliato: sbagliare è lecito, la perfezione non esiste, provare il proprio percorso alternativo è sano.
Non parlerò del peccato più grande di una bravamadre: la dedizione per quel bravopadre di suo marito. Non ne parlerò perché rasenta il ridicolo, questa retorica sul fatto che una donna è più forte perché sopporta di più: ma vaffanculo.
Parlerò, dal mio pulpito di accusa, di come una bravamadre non dovrebbe mai immaginare sua figlia come un pezzo di sé.
Non è un pezzo: è un intero.
Non è te: è sé stessa.
Non è la tua rivale: non vuole quello che vuoi tu.
Non è tua complice: sta guardando altrove.
Non ti continua: si comincia.
Sentenza
Noi tutti, scrittori di romanzi, sceneggiatori di serie tv, partoritori di idee per film e narrazioni finzionali di ogni tipo, quotidiani pensatori sui casi della vita o anche solo
noi, figli
dichiariamo
- che non vogliamo più sentire storie di famiglie ideali che servano di esempio,
- che non crediamo che essere genitori sia una patente per soffocare,
- che speriamo che chi intende fare il genitore sia aiutato da qualcuno, perché fare il genitore è difficile, quasi disumano.