di Susanna Labirinto
Facevo le Elementari, erano i primi anni Settanta. Una signora – per me era una «vecchia», magari aveva l’età che ho io adesso – inginocchiata sul banco della chiesa mi ha rimproverato perché non avevo qualcosa che mi coprisse la testa. Quella signora mi ha fatto provare uno dei primissimi fremiti di rabbia che io riesca a ricordare.
Ero trentenne, quando ho chiesto a un musulmano perché dovevo coprirmi la testa per entrare nella sua moschea. Mi ha risposto che i capelli, per le donne, sono uno strumento di seduzione. Non so se sia autentica teologia islamica, ma ho capito il rimprovero di quella vecchia: eravamo bambine provocanti.
Oggi, a guardarmi indietro, non provo più rabbia per quella donna prigioniera delle cazzate che le avevano detto, ma tanta per chi taceva. Non possiamo tacere e non dire che a questi simboli si legano prigioni che è difficile spezzare. Se si riesce a convincere una donna che deve – e perfino vuole! – essere diversa dagli uomini, allora la si può convincere che c’è qualcosa di male in lei…