Mine vaganti

di Susanna Labirinto

«Le mine vaganti servono a portare il disordine, a prendere le cose e a metterle in posti dove nessuno voleva farcele stare, a scombinare tutto, a cambiare i piani.»
– La nonna, da «Le mine vaganti»

Ho accettato, fondamentalmente, di essere una mina vagante, dopo molti anni in cui questo ruolo mi era stato cucito addosso.
Oggi scelgo di non essere legata all’essere una mina vagante, ma di poterlo o volerlo essere, laddove capiterà che io lo sia.

Dovunque vada, scombino i piani. Prima però sono fantastica. Poi, all’improvviso: scànsati.
Ricominciamo mettendo ordine:
1. entro in scena (nella vita di una persona, in un ambiente di lavoro, in una qualsiasi situazione);
2. riesco a conquistare, cioè a farmi amare, anche oltre le aspettative dell’altra persona/dell’ambiente;
3. riesco a capire, in profondità, persone e dinamiche. E creo cambiamento.
4. qui i percorsi si diversificano:
a. chi si sente visto è gratificato dall’esserlo /
b. chi si sente visto si sente scoperto, denudato, vulnerabile.
Ovviamente questo vale per singoli aspetti di singoli momenti, non è – il mio – un capire onnicomprensivo e onnisciente, benché a volte possa sembrare perfino che lo sia. Gli esiti dei due percorsi (per semplificare):
4.a. si creano relazioni autentiche, amicizie faticose ma fondamentali, i miei figli, evoluzioni negli ambienti…
4.b. vengo espulsa. In una parola: scànsati.

Stanotte un ricordo è riaffiorato. Torno al momento in cui è successo la prima volta il mio odiato scànsati.
Mio padre ha due figlie, nate nel ’63 e nel ’65. Poi i gemelli, nel ’67, a luglio. A settembre del ’70 deve andare a fare un viaggio: qualche centinaio di chilometri, quindi deve dormire fuori, gli prenotano l’albergo. Lui può scegliere tra la figlia di 5 e quella di 7. Si porta quella di 7. Forse ne hanno parlato, con sua moglie / mia madre. Forse è perfino ovvio che fosse lei quella che poteva essere più gestibile, in quel viaggio. Ma io ho capito qualcosa che forse sta solo nella mia testa di allora, forse sta solo nella mia testa di adesso. O forse è un impasto di messaggi mandati e di messaggi decodificati (alla luce di altri messaggi). Non siamo forse, tutti noi, tutto questo? Un impasto di detto, non detto, detto tra le righe, detto col corpo, compreso bene, compreso male, capito emotivamente, distorto emotivamente… codici linguistici in partenza decodificati in arrivo con rumori, filtri, transcodifiche. Cazzo, quanto siamo complicati. E facciamo finta di essere semplici, chiari, consapevoli.
Io ho capito che le attenzioni che lui aveva per me ora le riserva a lei. Ho capito che le attenzioni sono finite al suo ritorno a casa. Di chi è colpa? Io ho capito che è colpa mia: per anni (magari mesi, ma il tempo, a quell’età, è dilatabile) io sono al centro di pensieri e gesti affettuosi (troppo affettuosi, ma non per quantità: per significato attribuito). Non ero stata brava abbastanza? No, lo ero stata troppo: non conviene essere troppo. Eppure, per anni, in casa mia si celebra quel troppo: nei racconti, nei soprannomi, negli stereotipi io sono quella bella e amabile. Marchio. Io sono quella che poi è troppo e va scansata.
Quando lei mi ruba la scena, il gioco finisce.
Allora forse è colpa sua, nella mia mente o nella sua. O in quella di entrambe.
Lei (nei racconti, nei soprannomi, negli stereotipi) è quella che fa sempre tutto bene, ma non è bella e non è amabile. Continua a essere la prima della classe, si laurea in fretta, fa il mestiere che va fatto. Ma non si sente mai amata abbastanza. Nella sua testa è colpa mia, che so farmi amare troppo?
Forse quel viaggio ha segnato una fine per altre ragioni, ma «secondo me» è perché mia mamma ha capito.
Io – credo proprio in quel momento – ho ricominciato a fare la pipì a letto. Mia mamma chiede aiuto al medico, ma sa che non è quella la risposta. Io, che ero amata, ora puzzo. Mia mamma è costretta a fare un accudimento che non vorrebbe. I due fratellini sono troppo piccoli. Nessuno, in quel momento, sa riconoscere una situazione emotivamente impegolata.
Tutto si blocca così: va tutto bene, non c’è nessun problema.
Andiamo in gita tutti insieme. Non ci sarà più una scelta, per i viaggi in macchina: mio padre viaggia da solo oppure saliamo tutti e sei. Cantiamo, in macchina: sembra così bello, se guardo quella famiglia da fuori. Se ascolto quelle canzoni nella mia testa o sento quell’odore di finto cuoio nelle narici del cuore, invece, mi sale un pianto secolare, un dolore atavico, un urlo soffocato.
Sono una mina vagante perché negli alberghi dove andiamo tutti insieme l’unico segnale stonato con la famiglia perfetta – che sembriamo – sono io: la tela cerata e gli assorbenti-pannolini (sono troppo grande per avere i pannolini da neonato e troppo piccola per avere gli assorbenti da donna) devono viaggiare con noi. Se non fosse per me, saremmo la famiglia ideale: la primogenita perfetta e i maschietti belli e simpatici. La mina, invece, dove e quando si innescherà? Dirà una cosa che puzza, come la pipì di notte? Racconterà chi siamo davvero? Dirà cosa succedeva solo qualche anno prima?
Mia mamma ha sempre cercato di consolare la povera primogenita, che non sa vivere, contando sulla secondogenita, che sa sempre come cavarsela. Io riesco / lei no. Bella cosa – potrebbe sembrare – e invece è la mia condanna.
Io riesco. Poi riesco troppo. Poi scànsati. Lei non riesce. Colpa sua. Colpa mia.
Povere noi, entrambe.
Colpa sua, di lui, ma anche lui ha le sue catene pregresse. Ora lo so, dai racconti che emergono in vecchiaia. Lo perdòno, ma non andrò al suo funerale. E dirò a sua figlia che se lo tenga, il suo papà e il suo dolore per la perdita di lui. Io ho pianto abbastanza e oggi mi dichiaro sradicata.
Perderemo, a breve, la nostra mamma che ha finto felicità per non far scoppiare mine o bombe atomiche.
Mia sorella ha avuto il ruolo più detestabile. La più perfetta, con la famiglia perfetta, il figlio perfetto, a cui va tutto bene.
La mina vagante si toglie dai coglioni. Così mia sorella può finalmente fingere la vera felicità.


Dichiarazione di sradicamento familiare

Io sottoscritta, Susanna Labirinto, dichiaro inesorabilmente tagliate le radici familiari.
Dichiaro inoltre che continuerò a recitare un copione di finta felicità a esclusivo uso e consumo di mia madre, che pure è stata colpevole di insabbiamento emotivo e finta felicità procurata. Le riconosco il merito di avermi dotata di abilità a vivere e a sopravvivere. So che mi ha amata davvero proprio perché sapeva tutto. Ha amato me, non la versione finta di me.
Il giorno del funerale di mia madre il copione verrà definitivamente abbandonato. Il giorno del funerale di mia madre chiunque voglia avere a che fare con me dovrà fare una scelta pro o contro l’autenticità: non ci sarò più, nella vita di chi teme le mine vaganti.
Il mio emotivo, la mia intelligenza, il mio portare cambiamento sono la parte migliore di me. Non la censurerò mai più. La terrò a bada negli ambienti e nelle situazioni dove sarà necessario per ragioni estranee alla mia volontà.
Gli affetti sono una cosa sacra: non nascono dal sangue o dal DNA. Le relazioni autentiche sono l’impegno maggiore della mia intera esistenza.
Queste sono le mie radici: la mia storia, i fatti accaduti, la lettura che ho potuto fare nel tempo. Con la lucidità che mi è stata possibile.

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