Padre-nostro, padre-mostro

di Susanna Labirinto

Vi è mai capitato di incontrare una persona lobotomizzata-emotiva? Non una lobotomizzata che è emotiva: qualcuno a cui sembra sia stata praticata una lobotomia alla sfera emotiva. Ho sentito utilizzare l’espressione analfabeta-affettivo, da qualche parte. La cosa di cui parlo è leggermente diversa. Non è che Tizio o Caia non abbiano imparato che esistono le emozioni: a un certo punto gli hanno praticato un buco nell’anima. Puff: tu gli parli di cose che provi e loro ti guardano come se venissi da un pianeta strambo.
È tipico di queste persone pensare di chiunque esprima un’emozione: «Che esagerazione…»
Purtroppo per me ho una sorella così: lobotomizzata-emotiva. Quanto mi piacerebbe sapere quando è successo che le hanno spento quella parte di capacità…

Due cose lei sa di me: che sono atea e che nostro padre non è una metafora, è una persona reale che ha un peso enorme nelle nostre vite. Nella mia di sicuro.
Ancora, dopo anni, queste due cose sono un tabu. Non vuole che ne parli io, non vuole parlarne con me. Finge che io sia credente senza saperlo, come piace – guarda un po’ – anche a nostro padre. Finge che – ammesso che sia davvero successo qualcosa – per me sia solo passato da dimenticare, tanto sono abbastanza forte da superare di tutto.

Cosa fa, mia sorella lobotomizzata-emotiva? Mi manda un video che prende spunto da una preghiera: un Padre nostro attualizzato.
Una preghiera? Che cosa le fa pensare che la versione poetica e attualizzata di una preghiera sia per me intrigante? Forse mi dovrebbe commuovere perché ammicca a una prassi comune – a me e a lei? a tanti di noi? –, mettendo il luce il «vero» messaggio cristiano? Non lo sa che io, semplicemente, penso che la Verità (di qualsiasi dio con un suo eventuale qualsiasi figlio) non esiste? Non c’è preghiera, per me: solo narrazione di storie, così come ciascuno può. Se a qualcuno piace questo format, felice che si trovi il modo per esprimersi; anche diffondere un video tra coloro che ne rimarranno colpiti e rifletteranno forse è meglio di niente. Tra me e lei, però, per favore anche no. Vogliamo davvero intercettare una passione comune per gli esseri umani? Raccontiamo altre storie con altri generi letterari: la preghiera non è una cosa che ci accomuna. Sentire la sofferenza degli esseri umani – poveri in balia dei ricchi – ci rende vicine. Sentire che soffriamo perché qualcuno non può bere o curarsi e noi sì: in questo siamo sorelle. Tu preghi il tuo dio perché intervenga? In questo io non posso sentirmi vicina. È quasi offensivo, per me, dover ancora specificare «Io no».
Mi sale la rabbia, poi, per quel riferimento al Padre Nostro: «un padre non dovrebbe» non è un inizio di frase che – detto di nostro padre – possa passare sotto silenzio.
Nostro padre non avrebbe dovuto. Tu sai cosa. O non te lo ricordi più?
Nostro padre non è un padre-nostro, semmai un padre-mostro. Mi ha guardato il corpo tutta la vita: sei magra, sei grassa, sei bella, sei in forma, non lo sei.
Io ho passato una vita a non lasciarmi amare, perché mi sono convinta – non da sola, però – di non essere degna. Di amore, di stima, di soldi. Ancora, alla mia età, devo andare in psicoterapia. Per togliere dal mio cuore e dalla mia anima la rabbia. Verso di lui e verso di me (che non merito un cazzo).

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