Bits 3 – caos

di Eli Sandalo

Il primo pezzo su noi Bits (Born In The Sixties) aveva come titolo «per oggi». Il secondo «da oggi». Se c’è una seconda cosa che ha parecchio turbato noi Bits – la prima essendo la famiglia» – è la scuola. Ecco perché, quasi un riflesso condizionato, mi è scattata la filastrocca di_a_da_in_con_su_per_tra_fra.

Ho capito subito che il primo titolo era fuorviante: in quel momento io stavo pensando a un concetto che si rende meglio con l’espressione ad oggi. Mi verrebbe, compulsivamente, la voglia di scrivere un post per ciascuna preposizione. Avendo già detto però che non intendo parlare dell’oggi (preposizione articolata composta dalla semplice di) e non avendo mai capito davvero la differenza tra «tra» e «fra» – o forse avendo capito che non c’è —, mi chiedo quale potrebbe mai essere l’utilità di una serie di post con titoli in fila, ordinati secondo le preposizioni. Ho capito che non c’è alcun senso o utilità o valore in questa serie; ho capito, nel frattempo, di cosa voglio parlarvi.

Uno: dare un ordine. Due (banalmente): la scuola.

Noi Bits siamo cresciuti martellati con l’idea che avremmo dovuto trovare un ordine nelle cose. Il caos è il male. Siamo nati subito prima, durante o subito dopo le contestazioni che mettevano in discussione tutto l’ordinamento costituito. Fregati due volte: non avremmo mai più potuto prendere sul serio le regole dei nostri nonni, né potevamo credere che il solo distruggere i codici di comportamento potesse far conquistare la felicità. Un esempio leggero e uno pesante. Leggero: il taglio dei capelli. A noi Bits risulta impossibile credere, per DNA storico, che un maschio che porta i capelli corti sia eticamente migliore di un maschio coi capelli lunghi. Contemporaneamente ci sembra patetico credere che decidere su questa questione riesca a definirci emancipati.
Oggi, in quanto Pit2, abbiamo chiaro che la questione capelli è estetica e non etica e da Mit2 e Fit2 abbiamo chiaro che ai nostri figli non la diamo a bere. Nonostante questo, sento che ci rimane dell’ambiguità incollata addosso.

Ecco la promessa pesantezza: l’uso delle droghe. Mits e Fits a stento sapevano di che cosa si trattasse, ma avevano chiarissima l’idea che la droga toglie il controllo. Cancelliamo per adesso – forse un giorno ve ne parlerò, se avrò coraggio – la possibile indagine sul rapporto tra droghe e alcool. Saltiamo a piè pari inoltre le aspirazioni e le dis-percezioni delle generazioni a cavallo tra noi e i nostri genitori – Bitf? Born in the Fourties or Fifties? – a proposito di droghe. Non ci frega quasi niente infine delle ragioni per cui (e dei luoghi da cui) tutto è arrivato a devastarci. C’è un ventennio che ha fracassato il cervello a noi Bits: quello fatto dai Settanta e dagli Ottanta del Novecento. Non c’erano buoni e cattivi, ci sembrava che ci fosse cattiveria ovunque. Ci chiedevano di prendere posizione, ma non c’era alcuna possibilità di stare con questi o con quelli senza tormento. Vedevi un tossico e ti faceva schifo ma anche pena. Il poliziotto che lo prendeva a botte ti faceva indignare. E subito dopo qualcuno ti ricordava che era un ragazzo pure lui, a cui ordinavano «mena». Capivamo che molti poliziotti non avevano scelto quel lavoro; magari non avevano proprio scelta. Così come i loro coetanei caduti nella trappola dell’eroina (l’amico delle elementari, la ragazza che avevi visto giocare a nascondino): davvero qualcuno poteva pensare che avevano scelto di ridursi così?

Questo pensiero è per i Fits e le Mits: a voi è crollato un mondo. Capisco che avete provato una gran paura. A noi, senza nemmeno rendervene conto, avete chiesto di costruire mura solide, vantandovi della forza incrollabile della vostra esperienza, ma basandovi sul terrore di quella crollata incrollabilità. Avete continuata a pensare che bastava qualcosa. Basta che non ti droghi. Basta che studi. Basta che vai solo con gli amici giusti. Basta che credi. Nessuna di queste cose è bastata. La gente è morta, si è presa l’AIDS, è andata in galera, ha fatto figli che non sapeva crescere, si è fatta schifo, ha vomitato, ha rubato e perfino ucciso. Non è un elenco crescente o decrescente: è una serie di foto che ho nella testa. Non è bastato un cazzo: il vostro castello fatto di fede, speranza, carità, famiglia, scuola non era il castello delle fiabe. Non c’era nessun cazzo di castello.

Torno al mio dialogo con tutti. Ma poi chi siete, voi che state parlando con me? Bits? Figli di Bits? Curiosi di qualsiasi cosa si dica? Vi chiedo scusa. Non c’era solo schifo, nelle nostre adolescenze. Se oggi mi serve ricordare lo schifo, è perché li hanno venduti per solo-belli, quegli anni. Qualcuno addirittura li rimpiange. Io no.

Anche la scuola, in fondo, non è che una metafora del bisogno di stare tranquilli. Ti insegnano come funziona. È così: lo ha detto la maestra o il professore, quindi è così. Basta che ti impegni. Dopo decenni di osservazione del composito universo della scuola, sono arrivata alla stessa conclusione di mio figlio (con metà dei miei anni di raccolta dati): quello che non va non è la Scuola in quanto Sistema. Sono gli insegnanti, che fanno funzionare il Sistema. A volte, qualcuno, per certi aspetti: lo fa bene; altre volte, qualcuno, per altri aspetti: ti crepa. Il sistema scolastico è sottoposto a continue revisioni e continua a migliorare per quel che riguarda la riflessione sull’apprendimento, sulle componenti emotivo-affettive, sulla relazione tra pari e tra adulti (e con fatica anche tra adulti e bambini, ragazzi, adolescenti). Quando però si cerca di «mettere a norma» il funzionamento del Sistema, si scoprono falle enormi. Entra chiunque, anche chi non è preparato. Insegna chiunque, anche chi odia quel lavoro, quella disciplina, quegli studenti.
Non ho la soluzione al problema scuola, ma so che è un problema. Entrano bambini curiosi e troppo spesso escono ragazzi schifati. Se si spegne l’entusiasmo per la scoperta, non si è fatto un gran servizio. Se si investono milioni di euro e si scopre di aver prodotto generazioni di ignoranti, non mi accontento della balla che «i giovani d’oggi»: qualsiasi cosa vogliate dire di loro.

Capisco perché nello storytelling ci piace tanto – a tutti – stare a guardare il medico o l’avvocato che trovano la soluzione attraverso le procedure. E più ne sai, più ne hai in memoria, più ne hai studiate, più ti trovano geniale. Ma quale genio? Finiamo con l’accontentarci di una marea di informazioni. E poi temiamo che l’intelligenza artificiale ci rimpiazzi. Il genio è altro. I computer contengono dati e li elaborano. Gli esseri umani osservano processi e relazioni. E cercano di migliorare.

Oggi volevo parlare dell’ordine e ho raccontato solo caos. E quel poco di puntelli su cui basare un po’ di certezza ho chiesto di metterlo in discussione. Questo penso del bisogno di ordine: che è un bisogno. Non è un amico, l’ordine, è uno strumento che dobbiamo usare, poi buttare, poi cercare, poi scoprire. La vita è quanto di meno ordinato possiamo sperimentare. Il movimento – e non la staticità – è la cifra del nostro essere vivi. Non c’è lezione che serva per tutta la vita, se non quella di imparare sempre daccapo.

Legenda:
Bits sta per Born In The Sixties
Mits sta per Mother In The Sixties (Fits = Father)
Mit2 sta per Mother In The Two-thousands (Fit2 = Father)
Pit2 sta per People in The Two-thousands

Continua (forse)

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