«Non me ne frega un cazzo»

di Carlo Maffei

Che effetto fa vedere una madre che piange? Ma, soprattutto, che effetto fa vedere la propria madre che piange? Nelle persone normali suscita pena, presumo. O almeno compassione. In me no. Nemmeno un po’. A me vedere mia madre che piange fa venire in mente una sola parola: «ricatto».

Voi direte: «Sei un mostro. Sei uno stronzo. Sei senza cuore». Sarà. Come diceva Jessica Rabbit: «Io non sono cattiva. È che mi disegnano così». Traduzione: mi ci hanno fatto diventare, mostro, stronzo e senza cuore. Ho visto troppe volte mia madre piangere, quasi sempre per motivi non solo futili, ma proprio idioti, motivi che lei stessa si inventava per…

…già, per quali motivi mia madre piangeva? Be’, è presto detto: per ricattarmi. Mia madre piangeva per farmi sentire in colpa, per manipolarmi. E mio padre la spalleggiava.

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Storie di guerra

di Susanna Labirinto

Tutte le volte in cui abbiamo studiato una guerra, a scuola, abbiamo fatto – per lo più senza esserne consapevoli, tranne le volte in cui abbiamo avuto un vero insegnamento – contemporaneamente due cose: storia e storiografia. Abbiamo sentito parlare di una guerra e abbiamo sentito parlare di una guerra.

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Velo

di Susanna Labirinto

Facevo le Elementari, erano i primi anni Settanta. Una signora – per me era una «vecchia», magari aveva l’età che ho io adesso – inginocchiata sul banco della chiesa mi ha rimproverato perché non avevo qualcosa che mi coprisse la testa. Quella signora mi ha fatto provare uno dei primissimi fremiti di rabbia che io riesca a ricordare.

Ero trentenne, quando ho chiesto a un musulmano perché dovevo coprirmi la testa per entrare nella sua moschea. Mi ha risposto che i capelli, per le donne, sono uno strumento di seduzione. Non so se sia autentica teologia islamica, ma ho capito il rimprovero di quella vecchia: eravamo bambine provocanti.

Oggi, a guardarmi indietro, non provo più rabbia per quella donna prigioniera delle cazzate che le avevano detto, ma tanta per chi taceva. Non possiamo tacere e non dire che a questi simboli si legano prigioni che è difficile spezzare. Se si riesce a convincere una donna che deve – e perfino vuole! – essere diversa dagli uomini, allora la si può convincere che c’è qualcosa di male in lei…

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Giustizia, chiediamo, per noi

di Susanna Labirinto

Sommario

1. Bravopadre, cosa hai fatto a tuo figlio?
2. Bravamadre, cosa hai fatto a tuo figlio?
3. Bravopadre, cosa hai fatto a tua figlia?
4. Bravamadre, cosa hai fatto a tua figlia?
Sentenza

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Errori

di Susanna Labirinto

Potrebbe sembrare – a guardare, con banalità, una che brandisce una spada – che un blog sulla famiglia si sclerotizzi sulla condanna degli errori commessi dai genitori. Al contrario: adoro gli errori, sostengo la necessità dello sbagliare.

I genitori – come gli insegnanti – spesso sono convinti che nel loro mansionario ci sia mostrare dove i figli – o gli studenti – stanno sbagliando. La qual cosa è vera, ma crea corollari di mansioni estremamente pericolosi. Come per un compito di matematica se sbagli tanto prendi un brutto voto, così è per il rapporto genitori/figli: se sbagli tanto prendi un brutto affetto, carico di giudizi e di delusione. Dovrebbe essere il contrario: capire dove stiamo sbagliando ci porta a trovare nuove strade, quello che conta di più non è la classifica in cui chi sbaglia meno ha più punti, ma la varietà delle strade possibili.

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Perdonare

di Susanna Labirinto

Si può perdonare la propria famiglia se quando sanguinavi invece di una garza ti ha dato aceto?

Come si fa a perdonare una madre che ti fa sentire la tua inadeguatezza invece di darti conforto?

Come si fa a perdonare un padre che infierisce nel momento di massima debolezza?

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Panico?

di Carlo Maffei

I 50 anni sono un’età in cui tiri le somme. Quel che hai fatto. Quel che non hai fatto ma del resto non avresti potuto fare. Quel che non hai fatto ma avresti potuto e non hai voluto o saputo fare. Perché questo consuntivo? Perché di tempo non ne hai più. Hai imboccato alcune strade e tutte le altre ormai sono precluse. Sei diventato un giornalista, non lo scienziato che saresti potuto e voluto essere. Così ti prendono dapprima il dispiacere, poi il rimpianto, poi magari la rabbia contro il mondo e contro te stesso, infine la rassegnazione. Ecco, quando arrivi alla rassegnazione, la fase è conclusa. Hai preso atto del fallimento – ché c’è sempre un fallimento, ché il consuntivo è sempre un passivo, per quanto, vista dal di fuori, la tua vita possa apparire un successo – e allora smetti di pensarci. Avevi una sola possibilità e l’hai sprecata. Fine.

Resta un fatto: quando sei nel pieno della crisi, guardi indietro. E soppesi, riconsideri, rivaluti tante esperienze, tante persone. Tanti momenti. E magari fra quei momenti alcuni acquistano un significato speciale: ti accorgi che la tua vita dopo non è più stata la stessa. È cambiata la tua Weltanschauung in modo definitivo. Il tuo Te prima quasi non riconoscerebbe il tuo Te dopo, se lo incontrasse.

Nella mia vita riconosco due momenti così.

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Parlar male della famiglia distrugge o costruisce?

di Susanna Labirinto

Rivendico la libertà di dire che la famiglia, quella «buona», ha fatto danni. Non solo danni: anche danni. I modelli, i valori, i criteri, il «normale»: hanno creato il senso di inadeguatezza che ha fatto ammalare centinaia di migliaia di persone.

Non mi interessa semplicemente distruggere un’idea considerata «sacra», anche se mi accontenterei di questo, perché dissacrare mi dà tanta contentezza. Mi interessa costruire uno spazio alternativo di verità. Se è vero che è bello essere stati amati, è anche vero che a volte siamo stati amati male. Dignità per la prima affermazione, dignità per la seconda. Nessuno qui o altrove ha la verità tutta intera, ma tutti i pezzi sono intriganti.

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Potere

di Susanna Labirinto

Ricordo le mie due nonne, dopo gli 80 anni, molto diverse tra loro. Fragili entrambe, spaventate della propria fragilità. Pina e Paola. L’una, però, è diventata ossessiva: vedeva nemici, temeva di essere trascurata dai suoi figli, si sentiva minacciata e questo la rendeva dura con tutti, preventivamente. L’altra – perfino nei giorni deliranti precedenti alla morte – riusciva sempre a relativizzare tutto, niente era importante in sé. E quindi nessuno aveva vera colpa di quanto stava accadendo. Aveva un modo gentile di accettare la vita. Se raccontava una sofferenza era solo per descriverla, per condividerla, mai per incolpare qualcuno.

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La famiglia è meglio di niente

di Susanna Labirinto

La famiglia è meglio di niente. Balle.

Ci hanno convinto che – se non produciamo una filosofia alternativa – la famiglia va difesa. Ci hanno provato, qua e là, a fare proposte di assunzione di responsabilità da parte dello Stato, della collettività, del kibbutz, del soviet, ma quei tentativi sono tutti falliti.

Hanno provato a studiare il fenomeno sociologi, psicologi, genetisti, pedagogisti; lo hanno fatto ingenuamente, laicamente, colpevolmente, saggiamente, egocentricamente, teocentricamente, ma non ci hanno ancora capito un cazzo.

La conclusione sembra sempre essere che la famiglia è la formula migliore possibile.

Io, senza proporre un bel niente di nuovo, dico solo che è una grandissima balla.

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